“Dammi al vento perché mi porti via.”
Nominerò solo una volta Reyhaneh Jabbari, impiccata a 26 anni
per aver ucciso il suo stupratore. Per saperne di più, basta leggere tra gli
innumerevoli orrori di questi ultimi giorni e si capirà che non c’è più molto
da capire. Capire, ormai, abbiamo capito
abbastanza. E molte persone sanno andare coerentemente oltre, come le
coraggiose ragazze di Teheran che stanno protestando contro tali orrori, nonostante
gli attacchi con l’acido alla loro Bellezza. La frase “Dammi al vento perché mi porti via”
è un’invocazione straziante della giovane alla madre, chissà, mi sono detta,
forse per il timore che a quel poco di sé che resterà in terra, non siano inflitte ancora insopportabili
sconcezze e intollerabili umiliazioni.
Vorrei saper nominare, invece, in un’eco infinita la parola “madre”,
perché risuoni come un tuono impietoso in tutte noi, mamme, quando non sappiamo
proteggere la femminilità, non da alcuni uomini ottusi e brutali e dalle loro
leggi corrispondenti, ma dalla nostra ottusità e brutalità verso noi stesse,
quando rinneghiamo il potere e la fragilità che ci rendono femminili: siamo
portatrici della possibilità di dare la vita, spingendola al mondo col parto, ma anche di dare la morte, esattamente nello
stesso atto, a future donne e uomini. Rinnoviamo la sacralità e la complessità
di questo ruolo, inscritto nel corpo, ogni qualvolta ci assumiamo la
responsabilità di far nascere, non solo con il parto, ma con la nostra presenza
vitale, donne e uomini più rispettosi della reciproca Bellezza. Rinnoviamo la
sacralità e la complessità di questo ruolo ogni qualvolta ci si accapponerà la
pelle, perché il vento che spira sarà un vento di morte invocato da una giovane
donna che non abbiamo saputo proteggere. Noi, mamme.
Filomena Rita Di Mezza