Nuovo viaggio de La
compagnia Instabile: sulla rotta della memoria.
“Tutti i pazzi per il Sannio” :
Giornata di solidarietà per gli alluvionati sanniti, venerdì 27 novembre ore
20.30 Cinema Teatro Modernissimo.
Lo scenario
dell’alluvione nel Sannio retrocede dolcemente.
Il centro della scena è
occupato da una barca di carta. Ricordo cheda bambina era uno dei giochi più
comuni. Una volta realizzata la delicata imbarcazione, si correva a metterla
sull’acqua, nel mare blu del blu di una bacinella o, complice un adulto,
addirittura al lago, quello vero. A ripensarci oggi, indipendentemente dalla
tenuta della barca e dalla durata della navigazione, il focus del gioco era
l’attimo in cui la si lasciava andare, quella frazione di secondo in cui una
cosa tua inizia un viaggio e sebbene quello che avverrà non dipenda più da te, rimane
comunque una parte tua che guardi con
fiducia e trepidazione salpare, finché puoi,
finché durerà. L’immagine iniziale di questo nuovo spettacolo de La
Compagnia Instabile mi sembra una buona metafora della fragilità, ma anche
della preziosità di ogni nuova impresa,
come quella di ripartire dopo
l’alluvione. Sono ormai diversi
anni che scrivo de La Compagnia Instabile, un piccolo-grande gruppo di navigatori che continua a muoversi decisamente
in controcorrente rispetto a quella che anticamente veniva chiamata la nave dei
folli. “La nave dei folli” scriveva Foucault “non era solo un parto di
fantasia, ma derivava dalla comune prassi di allontanare i matti dalla comunità
dei normali, eventualmente proprio affidandoli a gente di mare: accadeva spesso
che venissero affidati a battellieri… Talvolta i marinai gettavano a terra
questi passeggeri scomodi, ancor prima di quanto avevano promesso… Le città
europee hanno spesso dovuto veder approdare queste navi di folli”. Che bello
vedere che qualche volta sono i cosiddetti pazzi ad imbarcare persone che
vivono uno stato di disagio.
Sto assistendo alle prove e mi
trovo imbarcata mio malgrado. In realtà avrei dovuto essere io la spettatrice, per scrivere queste righe, e loro
sulla scena, ma oggi c’è stato un imprevisto (d’altronde il teatro è proprio
come la vita) e quindi, eccomi qua, posizionata tra gli attori di fronte ad una
scena vuota. Vuota, sì, perché quando ho scritto che il centro della scena è occupato
da una barca, stavo solo immaginando! Stavo facendo esattamente quello che ci ha
detto di fare il regista: oggi si reciterà solo per ripassare il copione,
immaginando tutto quello che ci dovrebbe essere… ma non c’è, la barca per esempio. (Tranquilli! Voi, ovviamente, vedrete tutto quello che c’è
da vedere, la barca, i bravi attori, i cantanti, secondo i canoni classici di
una rappresentazione teatrale, anche se, trattandosi de La Compagnia Instabile,
qualche imprevisto è la regola.) La trama è che la Compagnia sta partendo per
un nuovo viaggio-teatrale, in un clima di incertezza e confusione sul da farsi.
L’andirivieni che precede la partenza,
tra la banchina e la barca, ci riporta facilmente ad una esperienza comune,
quella dei nostri viaggi, quando tutti, tipicamente, facciamo avanti e indietro
tra stabilità e instabilità, tra le cose solide della vita e quelle che
necessitano di fluire, tra la permanenza e l’andare via. Tra l’ordinario e un
pizzico di follia. In questi momenti di inevitabile disorientamento è facile
che ci venga in aiuto la memoria, vera protagonista di questo Spettacolo,
“unica possibilità di mantenere la rotta”, come reciterà il nocchiero. Cos’altro
è, infatti, la nostra identità, se non la continuità di noi stessi, in una vita
in perenne trasformazione?
Ma la memoria, come scriveva Borges, è “una moneta che non è mai la
medesima”, varia in funzione del presente, dell’atmosfera emotiva in cui
ricordiamo, e varia anche in funzione delle rotte che ci prefiguriamo.
Così, a volte, è l’idea del futuro che
dà slancio alla memoria, in una specie di inversione della freccia del tempo.
Per agganciare questo concetto allo Spettacolo, dirò che ho visto i ricordi
della Compagnia diventare altra cosa rispetto ai copioni precedenti. Un esempio
per tutti. Alle mie spalle riconosco la voce di un’attrice che avevo già
apprezzato in precedenti rappresentazioni. Una bella intensità della
recitazione, una forza espressiva che immagino arrivi da lontano…mi giro e il
ricordo vacilla, l’attrice in un certo senso non è più quella di qualche anno
fa: oggi è seduta vicino ad una persona che sembra il suo alter ego. In questo
viaggio navigano insieme. L’una bruna, l’altra bionda, l’una energica, l’altra
flebile, l’una rema forte, l’altra accarezza la convessità del mare, l’una è
una paladina della memoria, l’altra ha una delicata vaghezza…le immagino come un Giano bifronte, un
piccolo cammèo di questa imbarcazione.
Il mio diario di bordo conserva diversi
momenti toccanti dello Spettacolo, che vi consiglio di non perdere, ma vorrei
segnalarvi l’inizio. Si comincerà con il Documentario Vivere alla grande, della
Regista sannita Daniela Riccardi, scritto in collaborazione con Beatrice Cecaro
e Antonio Mango. La Riccardi, di cui avevo già visto il Documentario su Bill De
Blasio, torna a dare rilievo a persone della propria terra di origine. Si legge
nella sinossi che in questo lavoro l’occhio della telecamera è puntato su una
giornata “di ordinaria follia”, trascorsa nella U.O.C. di Salute mentale,
diretta dal Dr. Maurizio Volpe. La bella
realizzazione è attraversata da un filo di profonda leggerezza, che non è facile
tessere per chi entri in contatto con la sofferenza psichica, perché si è
sempre a rischio di essere o eccessivamente sentimentali o difensivamente
distaccati. Qui, invece, ci si commuove e si riflette tenuti dall’uso sapiente
della telecamera che, come vedrete, ad un certo punto passa dalle mani della
regìa a quelle di un paziente, con una naturalezza che mi ha colpito. Credo infatti che sia un raro pregio saper
documentare la realtà, muovendosi dentro con una presenza lieve. Dalla
bidimensionalità dello schermo su cui è proiettato il Documentario, al tutto
tondo del Teatro… grazie alla bravura della regista si crea un curioso effetto
ottico:
pare che le figure si stacchino dallo schermo del cinema per prendere corpo sulla scena, ad un passo da
noi, senza soluzione di continuità.
Ad un certo punto delle riprese, la Riccardi
si sofferma intuitivamente su un primo piano del Dr. Volpe che parla della tenerezza, quale
atmosfera prevalente nel lavoro con i pazienti. Scriveva Eugenio Gaburri, uno
dei più noti psicoanalisti italiani: “La
nozione di corrente di tenerezza introdotta da Freud non ha trovato molto
spazio nella riflessione…invece essa è di fondamentale importanza per la vita
psichica…essa è gratuita: un rapimento intenerito dinanzi alla diversità
dell’altro”.
“…battiam battiam le mani…”:
arriva La Compagnia Instabile.
(le foto sono di L.Fiorillo)
Filomena Rita Di Mezza