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sabato 29 giugno 2013



...nei diari di viaggio delle donne si coglie che la nostalgia non è tanto nel desiderio del ritorno, ma nel viaggio come ricerca dello "spaesamento".

Prima di iniziare con questa serata speciale dedicata ad una giovane, promettente scrittrice, Daniela Del Mese, vorrei ricordare una donna che, a proposito di viaggi, ci ha saputo condurre in orizzonti inimmaginabili, sapendo tuttavia rimanere sempre con i piedi per terra, con la sua intelligenza, passione e magnifica semplicità: 

Margherita Hack

Ho trovato in libreria una nota di Francesca Fiorillo che con piacere pubblico, come affettuoso saluto di tutti noi di Playlife alla grande astrofisica:

"La scienza ci dice che gli atomi del nostro corpo non sono nati qui, sul nostro pianeta, ma sono stati forgiati nel crogiolo nucleare di lontane generazioni di stelle. Noi, quindi, come diceva Shakespeare, siamo fatti della stessa sostanza delle stelle che scorre nel nostro corpo come il fiume della Via Lattea. Così stando le cose, la fisica astronomica nascerebbe dal desiderio nostalgico di scoprire nell'Universo la propria origine: Margherita Hack sta ora continuando il suo lungo viaggio tra le  stelle. 
Come la  settima Pleiade, apparentemente perduta,   farà parte anche lei della nostra mappa del cielo..."


Le sette Pleiadi nella Mitologia

Ed ora...si parte con

I treni che passano, 
racconto di 
Daniela Del Mese

I treni sono un topos dell'anima, del suo dinamismo, della sua articolazione... della sua consistenza: pensate ad esempio quando i treni erano a vapore


che ulteriore, profonda corrispondenza con l'evanescenza dell'anima. 

Stasera ci lasciamo attraversare da un racconto che  ha tutta la ricchezza di un viaggio ben fatto, andata e ritorno, con la voglia di sostare, ma solo per immaginare la prossima partenza. 
Così, quando Valeria Rinaldi, la protagonista, prende la sua decisione... nelle ultime righe del racconto, viene da pensare cosa farà da quel momento... . Noi speriamo che, soprattutto, non molli la sua Autrice, provocandola ancora alla scrittura, una scrittura essenziale, a tratti cinica, capace di scolpire senza alcuno spreco di parole, persino dure verità affettive, come questa...


"Alla radio qualcuno parlava di un uomo fatto a pezzi da una donna. Valeria pensò che alcune persone preferiscono prendersi a pezzi, perché a prendersi intere ci vorrebbe troppa forza."

Leggiamo ancora un passaggio insieme all'Autrice:


"Adorava i treni . Amava guardarli passare, uno dopo l’altro, che non sai mai se quello che stai guardando in quel momento sia quello dei giorni passati o sarà quello dei giorni futuri. Mentre i passeggeri restano indistinti, anonimi. Infondo la gente che parte si somiglia tutta un po’ e la gente che ritorna si somiglia ancora di più. La gente che prosegue nel cammino, a volte, si riconosce."








"Il treno fu passato e, come tutte le mattine, la sua giornata poté cominciare.
Andò al telefono e compose IL numero.
“Pronto”, Valeria provò una piacevole sensazione di calore.
“Pronto mamma, sono Valeria!”, aveva una voce rauca come se avesse urlato, come se avesse fatto freddo, come se avesse fatto freddo mentre urlava, ma era tutta la vita che quella voce stava lì ed era da parecchio che faceva freddo.
“Tesoro, dimmi, ma in fretta che devo andare”. Dove sarebbe andata? Aveva sempre un piede fuori dalla porta, ma stranamente rispondeva sempre al telefono."



...immaginiamo che Valeria Rinaldi, la protagonista del racconto, ami questo quadro di Manet?

Concludiamo con un passo di grande respiro interiore, catartico...


“I binari mi fanno orrore”, era stata la sua risposta.” E aveva continuato “ Sai cosa sono due rette parallele?” , e Valeria“ Due rette che non si incontrano mai!”.
E lui, come se fosse stata la cosa più normale del mondo “ecco, appunto!”. Valeria non andò oltre e neanche suo padre sentì di doverlo fare.
Ecco, appunto!

********
Passò un’altra mezzora e Valeria cominciò a realizzare che il treno, con molta probabilità, non sarebbe passato.  Si affacciò alla finestra e fissò i binari. Pensò a quando due linee non si incontreranno mai, ma sono destinate a proseguire insieme.

Complimenti Daniela

e a tutti voi, qui di seguito, il racconto integrale.
Buona lettura

"Era l’alba. Una pallida luce illuminava una croce. La chiesa era chiusa ma qualcuno già chiedeva miracoli, mentre altri elemosinavano spicci  e un po’ di attenzione.
Appoggiata alla finestra, Valeria osservava con quanta cura i “miracolandi” si tenessero a distanza dai mendicanti e con quanta cura questi ultimi pregassero affinché nessun miracolo avvenisse. Stasi.
Alla radio qualcuno parlava di un uomo fatto a pezzi da una donna. Valeria pensò che alcune persone preferiscono prendersi a pezzi, perché a prendersi intere ci vorrebbe troppa forza.
La sua tazza di tè fumava appannando il vetro della finestra, così le figure lungo la via diventavano macchie indistinte, che pian piano si mescolavano le une alle altre e non c’era più pezzo che tenesse, tutto parte della stessa immagine riflessa negli occhi di una ragazza intenta a bere il suo tè.
La finestra che dava sul lato opposto a quello della chiesa si mise a vibrare. Era il segnale che anche quella mattina il treno delle sette sarebbe passato. La ragazza corse alla finestra, perché per nulla al mondo si sarebbe persa quel momento. Adorava i treni . Amava guardarli passare, uno dopo l’altro, che non sai mai se quello che stai guardando in quel momento sia quello dei giorni passati o sarà quello dei giorni futuri. Mentre i passeggeri restano indistinti, anonimi. Infondo la gente che parte si somiglia tutta un po’ e la gente che ritorna si somiglia ancora di più. La gente che prosegue nel cammino, a volte, si riconosce.
Il treno fu passato e, come tutte le mattine, la sua giornata poté cominciare.
Andò al telefono e compose IL numero.
“Pronto”, Valeria provò una piacevole sensazione di calore.
“Pronto mamma, sono Valeria!”, aveva una voce rauca come se avesse urlato, come se avesse fatto freddo, come se avesse fatto freddo mentre urlava, ma era tutta la vita che quella voce stava lì ed era da parecchio che faceva freddo.
“Tesoro, dimmi, ma in fretta che devo andare”. Dove sarebbe andata? Aveva sempre un piede fuori dalla porta, ma stranamente rispondeva sempre al telefono.
“ Mi hanno chiamato per un lavoro. E’ una radio. Hanno sentito la mia trasmissione giovedì e mi vorrebbero.”
E la madre “ La trasmissione che fai gratuitamente? Questi pagherebbero? E il lavoro dal dentista? Non puoi rischiare di perdere tutto”
“Si ma …” tentò di rispondere invano. La madre continuò “ No, Valeria, pensaci bene. Hai bisogno di un lavoro per vivere, non di un sogno”
“Va bene mamma”, sospirò e poi cambiò discorso “ Papà?”
“ Lo sai..” anche la madre sospirò “ è nella Stanza , esce solo per mangiare e dormire ormai. Dicono sia la vecchiaia”.
Già, la Stanza … era invasa da scaffalature sulle quali erano sistemate, con grande cura,le riproduzioni di ogni sorta di mezzo a motore mai esistito. C’era la riproduzione fedele di una delle prime automobili mai costruite, c’erano una serie di ambulanze,  un montacarichi, un furgoncino dei gelati, una ruspa, svariati mezzi dei vigili del fuoco, della polizia, dei carabinieri, dei vigili urbani, della forestale e così via. C’erano mezzi a due ruote, a tre ruote , a quattro , a cinque e anche a sei. Anche i cingolati non mancavano. Poi diverse navi, svariati aerei e alcuni elicotteri.
A Valeria risuonavano spesso in mente le parole di suo padre: “ C’è chi pensa alla strada da percorrere e a chi invece interessa il motore con cui farlo”.
Aveva sempre creduto che fosse un bel modo di normalizzare quella passione che era lentamente diventata un’ossessione.
Tutte le riproduzioni andavano spolverate e lucidate due volte a settimana e il resto della famiglia aveva diritto ad accedere nella stanza solo in sua presenza. Quando usciva serrava la porta con un lucchetto e portava con sé la chiave e ben stampata in mente l’esatta disposizione di ogni mezzo, di ogni ruota, di ogni granello di polvere, in modo che se qualcuno fosse riuscito ad entrare in sua assenza, lui lo avrebbe sicuramente saputo.
Valeria era quella che aveva messo piede più spesso in quella stanza. Ricordava il forte odore di chiuso, una sensazione claustrofobica ed una grave mancanza: non c’erano treni, neanche uno a vapore.
Intanto la telefonata si era conclusa con il solito “ Ciao eh!”. Da quando aveva riattaccato, Valeria provava una sensazione di profondo fastidio e avrebbe fatto di tutto pur di non ammetterlo a  se stessa, avrebbe fatto talmente tanto che alla fine non fece niente e fu costretta a realizzare che avrebbe solo voluto sentirsi dire “accetta”.
Era la seconda proposta in un mese, la prima la aveva rifiutata e ora non ricordava neanche il motivo, probabilmente doveva aver fatto una telefonata di troppo.
Sentì una rabbia esploderle dentro e proprio in quel momento ricordò di quando, qualche anno prima, aveva chiesto a suo padre il perché nella Stanza non ci fossero treni.
“I binari mi fanno orrore”, era stata la sua risposta.” E aveva continuato “ Sai cosa sono due rette parallele?” , e Valeria“ Due rette che non si incontrano mai!”.
E lui, come se fosse stata la cosa più normale del mondo “ecco, appunto!”. Valeria non andò oltre e neanche suo padre sentì di doverlo fare.
Ecco, appunto!
Tra un ricordo e l’altro, cercando di riemergere dalla furia che l’aveva travolta, la ragazza uscì di casa. Passo davanti la chiesa, lasciò una moneta al mendicante e lanciò un’occhiata di sfida ad uno dei tanti “miracolandi”.
Lavorò tutto il giorno e tutto il pomeriggio. Il lavoro, quello vero, nello studio medico. Paziente dopo paziente, non poteva fare a meno di pensare a quella proposta, ai suoi sogni che avrebbero potuto realizzarsi e all’improvviso le balzò in mente l’immagine di sua madre e dalla nuvola sulla quale stava volando scoppiò un temporale.
Al sesto caffè della giornata, il via vai di pazienti era terminato e quindi, sistemate le ultime pratiche, prese le sue cose e andò via.

Fuori il sole se n’era andato, ma non era ancora buio. Avrebbe potuto andare al bar dagli amici, avrebbe potuto andare a trovare i suoi e invece camminò, a lungo e per varie strade, guardò le vetrine, guardò le persone, fantasticò sulla loro vita, non quanto avrebbe voluto, presa com’era a sognarsi la sua di vita. Ma, in quel vento d’estate, durò poco. Nella strada di casa i sogni erano diventati paure, le persone giudizi e il vento, che le aveva arruffato i capelli, inadeguatezza.
Altra nuvola, altro temporale!
Entrò in casa, non le piaceva. Avrebbe cambiato tutto,tranne il passare dei treni. Decise d non mangiare e stette davanti alla televisione, davanti al computer, lesse un po’ e poi ancora televisione, ancora libro, ancora computer e così per una terza volta. Stravolte e confusa cercò di addormentarsi.
Ci riuscì, a  tratti. Per altri lunghi tratti pensava alla proposta, quasi come fosse indecente.
Si fecero le sei e fu allora che  il telefono squillò. Rispose. “ Vale sono mamma”, una voce spaventata dall’altra parte del telefono.
“Cosa c’è?”. “Papà non è venuto a dormire, è ancora lì dentro!”.
Pensò che il cuore le si fosse fermato e invece cominciò a battere sempre più forte,sempre più veloce. Tutto in pochi istanti.
“Mamma entra, cosa diavolo aspetti?”, “Non ce la faccio Valeria, non ce la faccio!”, “ Arrivo subito …”
Riattaccò, afferrò una maglia da mettere sopra il pigiama e corse via.
La casa era distante solo un centinaio di metri, ma durante il tragitto immaginò decine di scenari diversi, uno più nefasto dell’altro. Il cuore batteva all’impazzata.
Quando arrivò, trovò sua madre come non l’aveva mai vista, quasi in lacrime, e quell’immagine le parve quasi consolatoria.
Non disse niente, raggiunse la stanza e tirò giù la maniglia della porta. Lo vide addormentato tra un cacciavite ed un libretto d’istruzioni. Sospirò, poi forse sorrise. Respirò.
Al centro della stanza spiccava un grande tavolo e poggiati sopra di esso una serie di binari, due file incompiute. Valeria si guardò intorno, non c’erano treni, questa volta c’era solo la strada.
Suo padre si svegliò con un sussulto, era confuso, ma presto la confusione lasciò spazio al fastidio, il fastidio che provava nel vederle lì, nella sua stanza. Le guardò. Loro capirono. Valeria capì e le si sciolse il cuore. Senza dire una parola, uscì dalla stanza insieme a sua madre.
Fece una tisana a sua madre che la abbracciò, la strinse a sé e forse anche Valeria strinse.
Con quella sensazione ancora sulla pelle tornò a casa.
Si erano fatte quasi le sette, il treno sarebbe passato a breve. Guardò i raggi del sole illuminare la finestra e ne provò un gran sollievo. Dopo circa mezzora il treno non era ancora passato, la finestra non vibrava, c’era un’aria tranquilla, fuori, nel mondo.
C’era stato altre volte qualche ritardo e allora non si preoccupò, andò in cucina ,tanto la finestra l’avrebbe avvertita.
Passò un’altra mezzora e Valeria cominciò a realizzare che il treno, con molta probabilità, non sarebbe passato.  Si affacciò alla finestra e fissò i binari. Pensò a quando due linee non si incontreranno mai, ma sono destinate a proseguire insieme.
Andò al telefono, compose il numero. “Pronto” , “Sono Valeria Rinaldi e la chiamo per accettare”."















Questa sera apro alle 23.00
con 
I treni che passano, di Daniela Del Mese
e
omaggio a Margherita Hack,  di Francesca Fiorillo

mercoledì 19 giugno 2013

La disposizione del fotografo: il naturalismo di Osvaldo Lombardi

All'improvviso ti accorgi che è lì.
Se non scappi, perché ti fa senso o paura, ti fermi a guardarlo. 
a fotografarlo. 
Non è semplice. Non è  solo una questione tecnica, di macro fotografia, 
si tratta piuttosto di saper stare qualche minuto nella stessa disposizione di ciò che vuoi fotografare...
osservate anche voi...



l'adesione sicura e completa a qualcosa;
l'espansione del corpo... tutto..., fino alle estremità... 
plasmarsi immobile su una superficie in attesa della preda, lo sguardo fisso, ma in allerta;
poi la vista del fotografo di sbieco: paralizzati entrambi, geco e uomo, per non perdersi quello scatto.
Comincia così, con queste forti sensazioni, la mia curiosità per le foto di Osvaldo Lombardi.

**********

E ora facciamo un salto indietro nel tempo, molto indietro. Siamo nel 1717, a Francoforte. Viene pubblicato un libro che si intitola Dissertazione sulla generazione e metamorfosi degli insetti. L'Autrice è una donna, Maria Sibylla Merian, pittrice e studiosa di botanica, che è stata finanziata per un viaggio nel Suriname, durante il quale compierà dettagliate osservazioni su insetti e piccoli rettili, affiancandole con splendide illustrazioni eseguite da lei stessa. 
Guardiamo in sequenza alcune immagini della Merian e alcune foto di Osvaldo


 osservate il bruco sulla foglia prima della metamorfosi, colto mentre dipana la sua trasformazione su una trama sottile...
e qui di seguito una lucertola


e ora  gli scatti di Osvaldo



non è  straordinario? la stessa sensibilità naturalistica!

E chissà cosa avrebbe detto la Merian della seguente foto di Osvaldo, a proposito della sua intenzione  di sfatare la diceria che gli insetti si rigenerino "nello sporco e nel fango"


Per finire due scatti a Londra:



All'improvviso lo vedi, un gabbiano sul marciapiede di una metropoli grigia e affannata, a delimitare il profilo del disagio della civiltà.



Uno scatto immortala, ma la sua essenza è la fugacità dell'attimo.

Grazie al nostro ospite
e a voi tutti.

A presto.




Stasera apro alle 23.00 con un incontro inedito:

un fotografo dei nostri giorni e una pittrice della fine del 1600.

Non mancate!


martedì 18 giugno 2013

Domani apro alle 23.00 con 


La disposizione del fotografo:
il naturalismo di Osvaldo Lombardi


Ciao.

domenica 16 giugno 2013

Omaggio ad A. Nothomb: il Vesuvio e i cappelli !








"Il mio non era il disegno di un cappello.
Era il disegno di un boa che digeriva un elefante"
A.De Saint Exupéry

L'eruzione del Vesuvio che ha distrutto Pompei  è stata ordinata dal futuro...



Quando non vuole essere riconosciuta,
Amélie Nothomb si toglie il cappello!

****************


N.B.
Si ringrazia M.L.Volpe per la segnalazione del libro da cui sono tratte la prima e l'ultima  immagine del Vesuvio 

Il cappello rosso è di: Cappelli Altalen altaroma

Si ringrazia Francesca Fiorillo per aver suggerito la bella citazione dal Piccolo principe

Un post pieno di collaborazioni. Grazie e ciao









Tra pochi minuti apro con:

Omaggio ad Amélie Nothomb: il Vesuvio e i cappelli

mercoledì 12 giugno 2013

Bellezza Orsini dialoga con le sue Autrici: Tullia Bartolini e M.Pia Selvaggio


In Libreria, stasera, tre donne dialogano in una saletta privata: 


non sono ammessi spettatori, perché è una conversazione tra una "strea", Bellezza Orsini, e due sue Autrici, Tullia Bartolini e Maria Pia Selvaggio.

  Mi siedo in una sala accanto, ad ascoltare  una musica che non mi faccia sentire totalmente esclusa. 
Vi consiglierei di fare altrettanto.



Paganini, Streghe. 
Salvatore Accardo




Mentre ascolto l'impareggiabile violino, ho un sussulto. Non so come, ma riesco a sentire quella conversazione (sarà che sono nata nelle prime ore del 25 dicembre, l'ora in cui nascono le janare, secondo la leggenda...!).

In realtà, è semplicemente accaduto che la porta sia stata socchiusa da qualcuna di loro, pertanto, siamo autorizzati a sentire quel che ci arriverà.


Bellezza: E' vero che ad alcuni è dato di vivere più identità,  come fate voi scrittrici, quando vi moltiplicate nei personaggi,
 ma guardatemi! a partire dalle foto che avete scelto per le vostre copertine, mi verrebbe da chiedervi: "chi diavolo" sono delle due? Non mi sono mai sentita così diversa! 




Tullia: Detto da una donna accusata di essere una strega! 
Non dovresti, ormai, essere a tuo agio nella "diversità"?

Bellezza: Risparmiami i giochi di parole! Invece l'hai detto così bene nel libro, quando Battista mi provoca:
"Sarà dunque vero ciò che dicono sul tuo conto? Ti descrivono come una strega dotata di poteri sovrumani...Arderai in mezzo al fuoco, già ti vedo...". 
Se non ricordo male io gli avrei risposto incupita, quasi mormorando con me stessa:
"Che orribile parola, strea...".
Sai, la diversità  si crea in un terribile gioco... 
qualcuno ti guarda e vedi  nei suoi occhi  che c'è qualcosa di te, che lui non riconosce. Ma non è questo il peggio, quanto il fatto che tale  partita   si gioca in due:  sei tu che a un certo punto cominci a riconoscerti in quello sguardo, soprattutto se si tratta di uno sguardo forte e affascinante come quello del tuo Battista.
Ricordi quando mi ha detto: 
"Mi piacerebbe aprirti in due quella testa, la strizzerei come un guscio di noce per vedere proprio che cosa c'è dentro. 
Certe metamorfosi fanno venire la curiosità."?


Ancora Bellezza: E tu, Maria Pia, che guardi? con quel tuo immergerti nel mio dolore lancinante, insopportabile, che mi rinnova bruciature e ferite, nell'anima e nel corpo?
...non credi di aver esagerato? anche il dolore merita pudore, avresti dovuto fermarti sulla soglia qualche volta!


Maria Pia: non avrei potuto, se anche lo avessi voluto! 
L'ho dichiarato sin dalle prime pagine, da quando mi sono inabissata nel ventre di tua madre
e con te sono nata.


dettaglio Cattedrale di Chartres

 Ricordi? te lo rileggo:
"Non ti spaventare per essere viva, viva ancora dopo il primo giorno, fu solo il primo giorno...!".  Lo dicevo a te, ma soprattutto a me. 

Bellezza: sì, ricordo. Come ricordo la tua pietà nella fine...
"Il primo colpo recide la vena più giovane, la più fresca e la più ballerina...il secondo quella seminascosta dai capelli, il terzo la vena mastra...quella che governa il cuore!...
L'indomani mattina, a ora presta, un fuoco brucia sulle fiamme che ridono! 
Bellezza vola sulle punte infuocate e gioca a rimpiattino con loro."

Maria Pia: Sai,  dopo averti vissuto, anche le strade di Benevento per me non sono più state le stesse. Quello che ho scritto nell'epilogo è straordinariamente vero:

"Quando il cielo ha attraversato il tramonto e abbandonato i raggi del sole, le piante antiche sfamate dal fiume si sono trasformate in una misteriosa minaccia che non ha, dopotutto, smorzato la mia sete di emozioni"

Bellezza: Benevento...


ancora Bellezza: Tullia sento la tua pena, i brividi sulla tua pelle. Al solito. Non so come ti sia venuto in mente di avvicinarti a me, sei troppo emotiva. Hai rischiato di farti male. Molte volte ti ho dovuto proteggere. 

Tullia: sei stata una sfida alle mie paure, si scrive anche per esorcizzarle e poi è accaduto quel che tu hai detto:
"E' dai peggiori incontri che apprendiamo quel poco che sappiamo di noi stessi. La leggenda della forza, della debolezza...io sono quel che sono...e il sentimento che mi ha spaventata , m'ha pure resa intera."

Bellezza: c'é un punto del tuo libro, che mi dà sempre un particolare struggimento...

Tullia: quale? che dico, certo, lo so:
"Hai mai desiderato un posto lontanissimo, fuori dal tempo? Ho passato la vita ad immaginarlo, finché non mi ci ha portato il sentimento. Io, Bellezza Orsini la strega, stregata da un batticuore! Non è ridicolo? M'ha fottuta. Fottuta".

(sono in silenzio ora, ma posso sentire quella solidarietà che scatta tra le donne quando il contagio emotivo è forte. 

Per noi è ora di chiudere, andremo via senza dir niente.
Loro, le lascerò stare in Libreria. Ci sono momenti impossibili da interrompere.

A voi tutti, come sempre, grazie per essere venuti.


A Bellezza,

faccio scivolare sotto la porta una cartolina...)




N.B. Le foto sono tutte di L. Fiorillo.




























domenica 9 giugno 2013


Stasera apro alle 23.00 con...


"Salomè Giuditta e le altre: moniti dall'arte contro il femminicidio"

sabato 8 giugno 2013



Domani, 9 giugno, apro alle 23.00 con

Salomè, Giuditta e le altre:
moniti dall'arte contro il femminicidio. 

venerdì 7 giugno 2013

 Basta con il numero chiuso all'Università.

"La cultura non è professione per pochi: è una condizione per tutti, che completa l'esistenza dell'uomo."
Elio Vittorini



Ma mi chiedo, è mai possibile che ancora si continui a pensare,  in un paese con tanti problemi di formazione culturale, con tanti impedimenti alla cultura, che la soluzione possa essere il numero chiuso all'Università? che si ridurrà, in questo modo, il numero di quelli che stanno a lungo e improduttivamente all'Università? che si agevolerà così l'insegnamento dei Docenti, con pochi e selezionati studenti?  E' questo il senso dell'Università, fatemi capire, promulgare questo tipo di cultura? 

E che cultura è?

I giovani che hanno superato i test saranno dei bravi medici perché hanno superato i test? e quanti giovani avrebbero potuto scoprire, con quel piacere che solo la vera crescita culturale sa dare, di essersi appassionati a Medicina proprio durante lo studio della materia, semplicemente perché sono nel frattempo cresciuti, ci si augura non solo tra esami e test, ma in senso culturale vero, cioè vivendo, sperimentandosi, sbagliando, rallentando o, addirittura,  consapevolmente scegliendo di non continuare a studiare medicina. (Ah! quanti ottimi non-medici avremmo!) E, inoltre chiedo: questo ultimo tipo di opzione, a livello statistico, quanto peso avrebbe? che punteggio dovremmo dare alla  capacità di accorgersi di aver preso la strada sbagliata e saper tornare indietro?
A dire il vero, mi guarderei bene dall'affidare la risposta alla statistica, perché semplicemente ci sono delle cose, come il valore delle scelte sbagliate o lo sviluppo culturale di una persona, che sono impossibili da prevedere con un sistema numerico: stiamo forse applicando una specie si selezione preventiva? 
Un voto basso alla maturità potrebbe essere, e spesso lo è stato, un 110 e lode all'Università. Molti 110 e lode si rivelano per quello che sono, senza sorprese. Alcuni restano dei meri pezzi di carta, con un bel  110 e lode. 

Per favore, Ministro Carrozza, 
restituiamo alla Cultura la sua complessità, con gli inevitabili rischi e imprevisti, come tutte le cose più importanti della vita. 





Questa sera apro alle 23.00,  per coloro che sono contro il numero chiuso all'Università:
"La cultura non è una professione per pochi: è una condizione per tutti"
Elio Vittorini
Ciao. Domenica 9 giugno apro alle ore 23.00  con...
Salomè, Giuditta e le altre: riflessioni artististiche contro il femminicidio!

martedì 4 giugno 2013

Domani, mercoledì 5 giugno, apro alle ore 23.00
con
"Un'ora in Libreria tra cellulosa e celluloide"


A presto.

domenica 2 giugno 2013

Oltre i  "luoghi comuni" 
foto di Mirella Riccardi






Sono in terra straniera. 
E' qui, ma potrebbe essere altrove... il primo contatto con gli altri ci mostra sempre in sovrimpressione l'impronta del già noto...lo riconosciamo subito, al di là dei colori, dei vestiti, dei tratti somatici...parlo di aspetti del legame di una madre con i figli, come la prima visione del mondo, la sicurezza di un abbraccio, la guida ai primi passi.
L'esperienza della bellezza si forgia qui, in questo spazio originario, che è uguale ovunque... ma per vederlo "oltre i luoghi comuni", ci vuole uno sguardo profondo, come quello della nostra ospite.

Proprio perché non parlo della bellezza oggettiva, ma dell'esperienza della bellezza, ovviamente, non può esserci nessun volto...


 

***


Saper stare...






"Nel nostro mondo l'ozio è diventato inattività, che è tutt'altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca"
 M. Kundera, La lentezza

***

Prospettive parziali?




Non certo quella della nostra fotografa, che sa trovare l'aspetto giocoso di una visione limitata: 


efficacia delle immagini contro ogni estremizzazione e pregiudizio

***


 Così, per strada, incontri un'altra via, quella del soprannaturale...o chiamala come vuoi... ti ferma la curiosità verso una scena inconsueta, che ti svia dal solito percorso, dal solito sguardo...vedi i colori dell'uomo, ti chiedi cosa stia facendo, quale sia la sua mistura...poi hai un sussulto, ti piace pensare che, senza affatto guardarti, ti abbia sentito e sappia esattamente cosa stai cercando: 
è la prima volta che ti è capitato di  fotografare la fumosità del reale.



Considero la prossima foto  una sorta di firma di Mirella Riccardi:


l'obiettivo fotografico può essere un magnifico trucco per moltiplicare le immagini della vita e sfuggire al tempo...


***
Femminilità 



Auguri, Mirella, per i tuoi futuri viaggi oltre "i luoghi comuni"

e...a tutti voi, ciao, a presto...
si chiude!



foto di L. Fiorillo